sabato 23 settembre 2017

Lo zaino di Jambo: Sumatra. Sfida alle rapide del "fiume del cane".


Scalare vulcani in attività, farsi largo tra le insidie della giungla, sfidare le rapide di fiumi che non perdonano: queste le avventurose esperienze di un viaggio nel nord di Sumatra.
Per concludere, il brivido di una visita agli orangutan di Bukit Lawang, al margine del Gunung Leuser National Park.





All'alba bussano alla porta della mia guest house.
Avremmo dovuto arrampicarci sul vulcano alle 4, in modo da cogliere il sorgere del sole su Brastagi, ma due ore più tardi stiamo appena per muoverci.
Da neanche un giorno mi trovo nel nord di Sumatra e già mi scorgo di essere vittima di quello che la gente del posto chiama dam karet, "tempo elastico".
L'imprevedibilità dei viaggi in molte isole dell'Indonesia è parte del loro fascino.
Non si sa mai cosa accadrà in seguito, né quando accadrà, ma quel che è certo, sarà un'esperienza da ricordare.
Il piano della mia settimana nel nord di Sumatra mi era stato rivelato, poco dopo l'arrivo a Medan, il capoluogo della quarta isola per grandezza del mondo, da Halim.
Anche lui non tanto prevedibile: risultò trattarsi di un energetico tedesco (prima si chiamava Georg, ma aveva mutato nome quando si era convertito all'Islam) con la passione per le avventure mozzafiato lungo fiumi selvaggi e giungle incontaminate.







Accompagnati dal suo giovane aiutante Igun, ci saremmo subito trasferiti a Brastagi per accamparci sulle sponde del lago Kawar, dove avrei fatto un po' di canoa.
Il mattino successivo prevedeva la scalata del monte Sinabung, il più alto dei due vulcani vicini a quel vecchio sito di villeggiatura dell'epoca coloniale olandese; poi, affittato un fuoristrada con autista, avremmo raggiunto un remoto villaggio di montagna per spingersi attraverso la giungla fino al corso superiore del fiume Wampu, dove ci saremmo accampati accanto a una possente cascata.
L'ultimo giorno contemplava un viaggio di sei ore di canoa, che, oltre le rapide di Wampu, sarebbe terminato a breve distanza d'auto da Bukit Lawang, famoso per l'Orangutan Rehabilitation Centre.
Vengo informato che l'alto Wampu è classificato di grado 3 nella scala "white water", mentre il corso inferiore è compreso del normale rafting in giornata da Bukit Lawang, ottimo per i novizi della pagaia come me.
Quando però domando perché i locali si riferiscano al Wampu chiamandolo Laubiang, "il fiume del cane", Halim risponde: "perché solo un cane potrebbe sopravvivere, se ci casca dentro". A volte è meglio che non faccio domande!





Qualche villa del tempo degli indonesiani si conserva ancora nei dintorni di Brastagi, oggi cittadina malridotta, con una sola via, utile per una sosta lungo la strada che da Bukit Lawang conduce verso sud al lago Toba.
Situata com'è a 1300 metri d'altitudine sul Karo Plateau, a 68 km da Medan, Brastagi è anche fresca, oltre che piovosa, per cui ci vogliono indumenti caldi e impermeabili.
Il progetto di accamparci e scalare il Sinabung viene cancellato dalla pioggia battente: il sentiero che sale ai 2451 metri del vulcano sarebbe troppo scivoloso.
Ci sistemiamo in una guest house ai piedi del colle di Guundaling, a nord dell'abitato ma più vicino al monte Sibayak, in modo da poter partire prestissimo l'indomani per salire su questo vulcano ancora attivo, alto 2095 metri.
A Brastagi le guide abbondano, ma non ce ne bisogno per la facile arrampicata di tre ore sul Sibayak lungo il percorso abbastanza frequentato che comincia a nord del pittoresco mercato del paese.






Raggiunta una baracca al termine di una strada tutta buche, paghiamo la piccola tassa per scalare per scalare il Sibayak, sorseggiamo corroboranti tazze di denso caffè e imbocchiamo la pista che costeggia il vulcano, e che sembra andare all'inizio più in discesa che in salita.
A due chilometri dalla cima, una strada a tornanti di recente costruzione conduce a dei gradini di cemento e a un sentiero che sale lungo una cresta "lunare" costellata di scuri stagni verdastri di acqua solforosa e geyser sibillanti.
Gli ultimi 100 metri fino alla dirupata sommità, coronata da un osservatorio meteorologico incustodito, sono troppo friabili per arrampicarsi in sicurezza senza l'attrezzatura da roccia; il panorama sul Sinabung è comunque straordinario.
Per scendere scegliamo una via più impegnativa, verso le sorgenti calde del villaggio di Semangat Gunung.
Pochi degli oltre 2000 scalini del ripido pendio sono intatti; la gran parte è stata dilavata dalle piogge, e non ne resta che una traccia pericolosa.
La prendo adagio, ma quando sbuchiamo dalla giungla presso un groviglio di tubi rugginosi che pompano acqua a una centrale geotermica, ho le gambe che tremano come foglie.
Per sottolineare la necessità di seguire il percorso tracciato, un avviso elenca la gente che si è smarrita o ha incontrato guai scalando il Sibayak.






La tappa successiva del viaggio attraversa la fertile campagna di Brastagi, culla del popolo dei karo batak e costellata dalle loro pittoresche case adat, riconoscibili per i tetti impagliati a doppio spiovente decorati con corna di bufalo.
I villaggi karo più interessanti sono i più isolati, come Barusjane e Dokan, meno turistici di posti come Lingga, dove si è richiesti di pagare gli abitanti per farsi fotografare (...questa poi non l'ho mai capita. Io se faccio una foto aspetto di conoscere la persona e non certo la "violento" con la mia reflex. Se vuole fare una foto bene o se no! chissenefrega).
Sotto la pioggia l'indomani ci apprestiamo alla marcia di quattro ore dal villaggio al sito in cui si accamperemo presso il fiume Wampu.
Si discute un po' se prendere un carro da buoi per trasportare i bagagli lungo il primo tratto, ma alla fine Halim assolda tre locali come portatori.
A uno affida la sua amata "seconda moglie": un kayak azzurro cielo di fibra di polietilene, il materiale plastico ultraresistente adoperato per i moderni scafi da white-water.
Ben presto i tre ci precedono di parecchio lungo la pista che dagli orti e dalle risaie di Rith Tengan conduce all'angolo sudorientale del Gunung Leuser National Park.






Il sentiero si addentra in un'ombrosa foresta di pini per sbucare su un'altipiano irto di acuminate piante grasse che ci arrivano al petto.
Tutt'intorno, incantevoli colline spuntano fra i banchi di nebbia; in lontananza sento il suono dell'acqua che scorre, segno che ci stiamo avvicinando al Wampu.
Per il chilometro e mezzo della discesa verso il fiume vengo guidato per mano da un portatore col "piede" più saldo del mio, giù per un sentiero spaventosamente ripido attraverso una folta boscaglia di alberi spinosi.
Come non avessi i nervi abbastanza provati, restano da affrontare 800 metri di rocce viscide lungo il fiume ribollente prima di raggiungere la meta dobbiamo attraversare il fiume, per cui estraiamo dall'involucro il canotto di gomma nera e lo gonfiamo.
Halim e Igun traghettano me e i bagagli; abbiamo appena il tempo di salutare i portatori e di montare una delle due tende, ed ecco scatenarsi un'altra pioggia torrenziale che dura fino a metà pomeriggio.
Alle 17 il diluvio è diminuito al punto di lasciarci sistemare l'accampamento, ma il fiume si è alzato di un paio di metri trasformandosi in uno schiumoso frullato di latte e cioccolata.
Forse dovremo fermarci nella giungla un giorno in più, aspettando che le condizioni migliorino.







L'indomani il livello dell'acqua è ridisceso, e il Wampu è tornato a luccicare sotto i raggi del sole. Halim ritiene che si possa affrontare le rapide con relativa sicurezza, così togliamo il campo e ci accingiamo all'impresa.
Stiamo pagaiando per il Wampu da un quarto d'ora quando accade il disastro: in mezzo a rapide furibonde sbattiamo la prua contro un enorme macigno nero, e sbalzati fuori bordo c'infiliamo in un turbinoso abisso d'acqua.
Ed eccomi nel fiume, questa è la prima cosa che ricordo, aggrappato a una pagaia piegata, urlando disperatamente aiuto mentre scivolo come un relitto umano alla deriva.
Halim  è presto al mio fianco, e mi agguanto al kayak giusto in tempo per vedere i bagagli spazzati via dalla corrente.
L'unico che si è salvato è il mio.
Una bella esperienza.






Quel che conduce la maggior parte dei visitatori a Bukit Lawang non è il rafting sulle rapide, ma i trekking nel Gunung Leuser National Park, habitat di due o tremila orangutan.
Le escursioni all'interno del parco e della giungla circostante vengono per lo più organizzateda Bukit Lawang, sul lato orientale del parco, e da Kutacane, al centro della valle di Alas.
Assisto al pasto pomeridiano degli orangutan reintrodotti nel loro ambiente.
Una faticosa passeggiata di 15 minuti conduce alla piattaforma di osservazione, alta sul fiume Bohorok in mezzo alla giungla.
Avrei ancora mille cose da raccontarvi, ma sono sicuro che almeno vi ho fatto pensare per un secondo che questa può essere la vostra prossima destinazione di un viaggio.
Magari più comodo del mio ma di grande viaggio sicuramente.