martedì 11 ottobre 2016

Africa popoli: Fulbe (Peul).


"Se la Terra gira, tu gira con lei".
(proverbio peul, Mali).




I Fulbe, che i francofoni chiamano Peul e gli anglofoni Fulani, sono una popolazione di pastori (circa sei milioni di persone), in parte nomadi e in parte sedentarizzati, sparsi in tutta l'Africa occidentale, dal Senegal al Cameroun.
Gli europei, guardando ai loro tratti fisici e alla loro lingua misteriosa hanno a lungo speculato sulle loro origini collocandole di volta in volta in India, Malesia, Polinesia, antico Egitto ed Etiopia o vedendovi degli indoeuropei di origine zigana.
I Fulbe che hanno continuato a praticare la transumanza rimanendo legati ai modi di vita tradizionali si sono diffusi pacificamente convivendo con le diverse popolazioni incontrate alle quali forniscono prodotti caseari in cambio di prodotti agricoli e oggetti artigianali.
Molto apprezzate sono le coperte di lana (khasa) che sono tessuti dalla casa dei Mubute.
I Fulbe che si sono urbanizzati e convertiti all'islam hanno invece edificato, con politiche di conquista, stati centralizzati basati sulla legge coranica come quelli di  del Fouta Jallon (Guinea), di Macina (Mali), di Sokoto nella Nigeria settentrionale, dove prendono anche il nome di Bororo, edell'Adamawa (cameroun).
In Nigeria, in particolare, il loro potere si impose sulla città-stato degli Hausa, nate dal riallineamento verso est delle piste carovaniere trans-shariane in seguito all'invasione nel 1591 dell'impero shongay a opera dei marocchini.




La vita nomade non consente la produzione e il possesso di molti beni materiali, perché sono un fardello che limita la libertà di spostamento, le arti sono soprattutto quelle della parola (la poesia) e della cura dell'aspetto della propria persona.
Acconciature, gioielli e abbigliamento sono l'oggetto di una cura costante.
Aristocratici refrattari al lavoro manuale, i Fulbe realizzano i loro desideri estetici servendosi degli artigiani di altre etnie.





Anelli, bracciali e cavigliere (in oro, rame o argento) denotano l'età e la condizione sociale della donna: a ogni nuova nata la madre leva una parte degli anelli dandoli alle figlie per poi togliersi definitivamente quando la più grande raggiunge l'età di dieci-dodici anni.




L'attenzione alla bellezza del corpo da parte dei Fulbe (Bororo) raggiunge il suo momento culminante in occasione dei festival (gerewol) che si tengono durante la stagione delle piogge quando i pastori di diverse clan si riuniscono e i giovani si sfidano danzando in concorsi di bellezza per conquistare le ragazze.
Si indossa un copricapo decorato con una striscia di cauri e una piuma di struzzo.
Gli occhi, altro fattore chiave della bellezza, vengono continuamente sgranati.
Il volto è dipinto e reso brillante spalmandovi del burro.
Le labbra vengono annerite e alle estremità vengono dipinti motivi lineari, o triangoli e punteggiati; questo aumenta il contrasto con la bianchezza dei denti, che sono gli elementi chiave della bellezza maschile, e che vengono costantemente messi in mostra con un sorriso ostentato.








Luoghi: Svalbard, paradiso di ghiaccio.


L'arcipelago delle Svalbard è un luogo che esercita un fascino fuori dal comune ma che, paradossalmente potrebbe anche non esistere; non solo potremmo passare la nostra vita senza metterci piede: addirittura potremmo arrivare ad ignorarne completamente l'esistenza.





Sebbene amministrativamente siano parte della Norvegia, infatti, sugli atlanti non vengono annoverate tra le tavole dei paesi europei, e per trovarle occorre cercare nelle pagine dell'Oceano Artico: ma, francamente, chi mai penserebbe di trovare qualcosa qui, oltre al ghiaccio della banchisa? Invece...tra latitudini impossibili ( 74° e 81° nord ) si estende una terra emersa pari a poco meno di 63000 m_ ( circa due volte e mezza l'estensione della Sicilia ), formata da varie isole quasi interamente ricoperte dal ghiaccio per l'intero periodo dell'anno, con una temperatura media di 0°C ed abitate nel periodo di massima affluenza da circa 3000 persone.
Il punto più a nord ( Nordkapp, come il suo omonimo continentale ) dista circa 1000 km in linea d'aria dal polo ed immediatamente oltre alle sue coste si trova il limite estivo della banchisa.






Per questo motivo le Svalbard furono da sempre utilizzate quale punto di partenza per le spedizioni verso il Polo Nord, come quelle, travagliate, guidate da Umberto Nobile e Roald Amudsen alla fine degli anni '20.
In realtà l'utilizzo delle isole risale ai tempi ancor più remoti: già conosciute dai vichinghi
( che le chiamarono Spitzbergen, monti appuntiti, l'altro nome con le quali sono note e che in realtà identifica l'isola maggiore ) furono ufficialmente riscoperte da Willen Barents alla fine del 1500 e videro i primi insediamenti stabili alla fine del 1800 con l'inizio dello sfruttamento dei giacimenti carboniferi, la caccia alla balena e, in tempi più recenti, l'istituzione di centri di ricerca scientifica.
Il desiderio di luoghi e paesaggi sempre più insoliti ha spinto alcune compagnie di crociera ad inserire le Svalvard tra le mete dei propri viaggi e, davvero, lo spettacolo che si offre agli occhi dei fortunati passeggeri è di quelli difficili da dimenticare: alte pareti rocciose erose dal vento si innalzano a picco tra il mare e i ghiacciai formando baie e fiordi senza tempo dove dominano i colori intensi e metallici del ghiaccio.






Tra i luoghi sicuramente più suggestivi il posto d'onore spetta a Magdalenefjorden, a quasi 80° di latitudine nord, un fiordo profondo circa 1km ed interrotto da una lingua del ghiacciaio Waggonwaybreen.
Data la sua particolare forma e ubicazione veniva usato in passato per la caccia e la mattanza delle balene e la piccola spiaggia ne porta ancora i segni: un cimitero nella sabbia, oggi patrimonio archeologico e antropologico, conserva i resti di coloro che persero la vita nelle campagne di caccia.
Ciò che colpisce di più a Magdalenefjorden è il silenzio, rotto solamente dagli iceberg e del battito delle ali degli uccelli sull'acqua.
Il ghiaccio, di un colore azzurro intenso, quasi ipnotizza e viene da pensare che da quella parete invalicabile là in fondo segni davvero il confine del mondo: oltre di essa esiste un altro pianeta, un pianeta di ghiaccio con una vita diversa da quella a cui siamo abituati, dove regna l'orso polare, angelo sterminatore e sovrano di questi luoghi.




Già, l'orso polare: un fattore che alle Svalbard occorre sempre tenere in considerazione.
La minaccia ( per modo di dire ) è reale e, è bello poterlo dire, è giusto che sia così: in fondo questa è casa sua.
Paradossalmente, tuttavia, l'animale più temibile, perché più facilmente incontrabile, non è il grande mammifero bensì un bel volatile dall'apparenza innocua.
La Sterna Artica ( Sterna Paradisaea ) percorre ogni anno 40000 chilometri dalle zone artiche a quelle antartiche e viceversa, ed alle Svalbard è molto diffusa specialmente nel periodo estivo.
Non essendovi altra vegetazione che la tundra la sterna nidifica in piccole buche nel terreno dove resta immobile per proteggere le uova ed i piccoli: e dunque facile capitarvi a poca distanza senza rendersene conto.
Questo delizioso uccellino diventa allora una creatura di hitchockiana memoria, disposto a tutto, anche ad attaccare l'uomo, in una strenua difesa del nido.
Vola radente, si incarna e punta il becco aguzzo verso le teste degli incauti malcapitati emettendo un grido stridulo e raggelante che, da solo, già incuote timore.
Lievi ferite per gli attacchi delle sterne sono in genere molto più numerosi e frequenti di quelli, assai rari, derivanti da incontri ravvicinati con l'orso, specialmente nel centro abitato di Ny- Alesund, dove questi animali nidificano ai bordi delle strade.






Il panorama da Ny-Alesund ( Nuova Alesund ) è molto diverso da quello di Magdalenefjorden.
La baia sulla quale si affaccia è ampia e nelle giornate serene lo spettacolo è incredibile: alte montagne ricoperte di neve la circondano quasi completamente specchiandosi nell'acqua immobile e cristallina.
Tra tutte svettano le cime quasi identiche delle tre Kronen ( tre corone ) che raggiungono i 1225 metri d'altezza.
Sicuramente Ny-Alesund è il centro abitato più interessante dell'intero arcipelago.
Innanzi tutto perché con i suoi 78° 56? Nord è probabilmente anche più a nord del mondo ( il piccolo ufficio postale vanta sicuramente questo primato ).
Inoltre è l'ultimo luogo civilizzato da cui partivano le spedizioni per il polo nord: ne è simbolo inequivocabile il pilone d'acciaio dove Umberto Nobile attraccò il suo dirigibile Italia.
Un tempo villaggio di minatori ( il piccolo ma prezioso museo testimonia le incredibili difficoltà della vita in questi luoghi dei pionieri di 100 anni fa ), oggi Ny-Alesund è una cittadella di ricerche scientifiche e meteorologiche ( vi si trova anche una postazione della Nasa ) dove vive una comunità di scienziati e ricercatori molto gelosa della propria quiete, con un piccolo aeroporto, un emporio, un museo e l'ufficio postale.






Al momento di lasciare la baia di Ny-Alesund per il viaggio di 600 miglia nautiche verso la Norvegia continentale, non si può a fare a meno di provare una certa invidia per coloro che restano e ci vedono partire.
Quella luce, forte nonostante l'orologio ci dica che siamo nel cuore della notte, ha lo stesso sapore dell'ora del crepuscolo nei rifugi alpini, quando la maggior parte degli escursionisti scende a valle e rimane solo in silenzio e le stelle.






Viene da pensare che a Svalbard le stelle si fanno attendere ancora per molti mesi: dovrà arrivare l'inverno, quando la notte artica sarà illuminata dall'aurora boreale e tutto sarà coperto dalla neve e dal ghiaccio.
Per quanto si tenti, è molto diffuso immaginarsele sotto quest'altra luce.
Ma adesso che sappiamo della loro esistenza sarà molto più bello ritornarvi.




Natura: Luce polarizzata per l'orientamento dei pipistrelli.


Per orientarsi negli spostamenti sulle lunghe distanze, quando l'ecolocalizzazione è inutile, i pipistrelli sfruttano una bussola magnetica accoppiata a un sistema di rilevazione dello stato di polarizzazione della luce al crepuscolo. Resta però ancora da scoprire come facciano a percepire questa proprietà della luce, unici fra tutti i mammiferi.




Per orientarsi, il vespertilio maggiore, il pipistrello insettivoro della specieMyotis myotis diffuso in tutta Europa e buona parte dell'Asia, sfrutta la polarizzazione della luce, una capacità – scoperta da ricercatore della Queen’s University a Belfast e dellUniversity di Tel Aviv - che lo rende l'unico mammifero noto in grado di rilevare e usare questa proprietà della luce del cielo. 
L'uso della polarizzazione come indizio per orientarsi è abbastanza diffuso fra gli invertebrati e gli uccelli ma finora non era stato dimostrato in nessun mammifero. 
Per orientarsi e navigare nello spazio circostante i pipistrelli normalmente usano l'ecolocalizzazione, ossia la capacità di sfruttare come un radar i riflessi delle onde sonore a ultrasuoni che emettono. Questo sistema sensoriale, però, permette loro di muoversi con sicurezza in un raggio compreso fra i cinque e i 50 metri, ma non serve a nulla per spostamenti di raggio più ampio, mentre nelle battute di caccia notturne i pipistrelli volano anche a decine di chilometri di distanza dalle loro tane. 





Recenti ricerche hanno dimostrato che in questi viaggi i pipistrelli usano una bussola magnetica che tarano ogni sera, al momento della partenza, sfruttando in qualche modo la luce solare residua. In questa ricerca –pubblicata su “Nature Communications” - Stefan Greif e colleghi sono riusciti a scoprire che per effettuare questa taratura i pipistrelli usano lo schema di polarizzazione della luce, una proprietà che è possibile rilevare anche se il disco del Sole è oscurato dalle nubi. 
Per il loro studio, i ricercatori hanno collocato settanta femmine di vespertilio maggiore in appositi contenitori prima di liberarle per il loro volo notturno. Dal contenitore i pipistrelli potevano osservare il cielo al tramonto, ma davanti alle fenditure di osservazione erano stati messi dei filtri che permettevano ai ricercatori di manipolare l'orientamento della banda di massima polarizzazione. I percorsi seguiti dai pipistrelli per tornare alla tana hanno fornito la conferma cercata.
Resta tuttavia da capire in che modo i pipistrelli riescano a percepire gli schemi di polarizzazione della luce. Negli insetti, la visione della polarizzazione è infatti chiaramente collegata alla particolare struttura morfologica dei fotorecettori, ma l'identificazione di strutture dalla funzione analoga nei vertebrati che percepiscono la polarizzazione, fra cui numerosi anfibi, rettili e uccelli, è molto più problematica. E nell'unico altro mammifero che mostra una certa sensibilità alla polarizzazione, l'essere umano, sembra che essa sia legata alla distribuzione e all'orientamento dei coni sensibili al blu situati nella macula, struttura retinica di cui però i pipistrelli non sembranno essere dotati.





Nuove ipotesi sulla straordinaria lavorazione microscopica dei manufatti d'oro scoperti a Stonehenge.


Alcuni manufatti in oro scoperti intorno a Stonehenge nel 1808 hanno interrogato per lungo tempo i ricercatori sulla straordinaria tecnica microscopica di lavorazione. Uno studio sui manufatti ha avanzato nuove ipotesi sulla loro realizzazione.




Nel 1808, William Cunnington, uno dei primi archeologi professionisti della Gran Bretagna, scoprì quelli che divennero noti come i gioielli della corone del Re di Stonehenge.
I manufatti si trovavano all’interno di un grande tumulo dell’Età del Bronzo, a poca distanza dal famoso cerchio di Stonehenge, conosciuto come Bush Barrow.
La scoperta di Cunnington riguardava alcuni gioielli decorati, una placca d’oro che veniva applicata ad un mantello e un pugnale finemente decorato.
La lavorazione estremamente raffinata dei manufatti in oro ha interrogato i ricercatori per lunghissimo tempo. Basti pensare che la decorazione del manico del pugnale fu realizzata con il posizionamento di decine di migliaia di minuscoli singoli componenti, ciascuno lungo appena un millimetro e dal diametro di un quinto di millimetro, praticamente come la punta di un ago.
Secondo quanto riporta The Indipendent, il processo stupefacente ha richiesto il posizionamento di circa 140 mila piccole borchie dorate dalle dimensioni descritte. La prima fase della lavorazione ha comportato la produzione di un filo d’oro finissimo, spesso quanto un capello umano.
L’estremità del filo veniva appiattita per creare un perno per il fissaggio, poi veniva tagliato con una selce affilata o un rasoio di ossidiana, ad appena un millimetro dalla base. Questa delicata procedura è stata poi ripetuta letteralmente decine di migliaia di volte.
“Con un minuscolo punteruolo di bronzo venivano creati i fori per alloggiare le fibre d’oro”, scrive The Indipendent. “Poi veniva applicato un sottile strato di resina sulla superficie come adesivo per il fissaggio delle fibre. Ogni singolo elemento è stato accuratamente inserito nel suo buco, forse utilizzando una pinzetta in legno o in osso, dato che le fibre sono troppo piccole per essere inserite direttamente dalla mano dell’artigiano”.
“Stimiamo che l’intera operazione, dalla fabbricazione del filo d’oro fino al fissaggio, abbia richiesto almeno 2500 ore di lavorazione”, ha detto David Dawson, direttore del Museo del Wiltshire.
Ronald Rabbets, un esperto di ottica dell’occhio umano, esaminando il minuzioso lavoro sul manico del pugnale, ha spiegato che solo dei bambini o degli adolescenti potrebbero aver eseguito tale operazione.
Secondo quanto scrive Discovery News, se tale attività fosse stato eseguita da un adulto, le lunghe ore di lavoro ravvicinato e le continue messe a fuco avrebbero certamente danneggiato gravemente la sua vista.


Difendere Amazzonia, tutelare natura e popoli. Presentata "Repam", tutela 30 mln persone e 390 popoli indigeni.




L'Amazzonia, insieme con la foresta del Congo, è ciò che resta di più prezioso per il pianeta: sei milioni di chilometri quadrati di foresta tropicale, divisi tra Guyana, Suriname e Guyana Francese, Venezuela, Ecuador, Colombia, Bolivia, Perù e Brasile. 
Ma il 20% di questo patrimonio dell'umanità è già andato in fumo, per la deforestazione, a vantaggio dei grandi interessi economici, delle multinazionali, nel totale disprezzo dell'ambiente e dei diritti umani dei popoli amazzonici, tra cui 390 popoli indigeni. La REPAM, rete ecclesiale panamazzonica, presentata in Vaticano è nata, ispirata dalle parole di papa Francesco a Rio, durante la GMG del 2013, per unire le forze in difesa dell'Amazzonia, e per aiutare altre analoghe iniziative, nel mondo, a difesa di situazioni analoghe.

La rete è stata presentata in sala stampa vaticana dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio consiglio giustizia e pace, dall'arcivescovo peruviano Pedro Ricardo Barreto Jimneo, da segretario generale di Caritas Internationalis Michel Roy, da Maurizio Lopez Oropeza, di Caritas Ecuador, mentre il cardinale Claudio Hummes è intervenuto audiocollegamento.







Il cardinale Turkson ha spiegato la scelta di presentare la REPAM anche in Vaticano, "non solo - ha detto - per l'alto significato simbolico che riveste per la Chiesa la sede di Pietro, ma anche per la volontà di dare visibilità alla REPAM, al suo funzionamento, alle sue priorità di azione, agli alleati e modalità di accreditamento". "Potrebbe servire - ha detto il porporato africano - come modello per altre chiese locali di altri continenti che si trovano a affrontare sfide analoghe a queste: giustizia legalità, - ecco alcune sfide - promozione dei diritti umani, cooperazione tra Chiesa e istituzioni pubbliche, prevenzione dei conflitti, studio delle informazioni, sviluppo inclusivo ed equo, uso delle risorse e preservazione delle culture e modi di vita di diversi popoli". Il cardinale ha apprezzato della REPAM la "transnazionalità della iniziativa e l'elevato numero di paesi coinvolti", la "ecclesialità per la creazione di una collaborazione armoniosa fra le componenti della Chiesa", e "l'impegno per la tutela della vita" di oltre 30 milioni di persone e svariate comunità". Monsignor Fridolin Ambongo, presidente della Commissione giustizia e pace dei Grandi Laghi (Repubblica del Congo, Ruanda e Burundi) e della Commissione per le risorse naturali della Chiesa del Congo, ha raccontato che "nella foresta equatoriale, bande armate stazionano alle zone dove si estraggono i minerali: le sfide - ha detto - sono le tesse Che in Amazzonia, da noi è un problema di vita o di morte perché se hanno trovato petrolio, diamanti, sicuramente sappiamo che l'indomani ci sarà la guerra, lo sappiamo e facciamo l'esperienza in Congo, e anche in altri paesi. Sono contento, - ha aggiunto - che la presentazione di REPAM sia fatta anche qui a Roma per più visibilità, può servire anche per altre chiese, sono contento che lui come nostro capo parla così", (si riferiva al cardinale Turkson, ndr).

La Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM) è nata nel mese di settembre 2014 a Brasilia, si propone di tutelare l'Amazzonia e di promuovere un modello di sviluppo alternativo solidale, che non organizzi la società e lo sfruttamento della natura in funzione dei soli interessi economici".




domenica 9 ottobre 2016

Le grandi spedizioni: Ai confini del globo. Ranulph Fiennes.


Le grandi spedizioni: Ai confini del globo. Ranulph Fiennes.

Il giro del mondo: la via più difficile.



"L'idea era completamente insensata" scrisse Ranulph Fiennes, "ma mia moglie, Ginnie, insisteva: "Perchè non facciamo il giro del mondo per la via più difficile, cioè passando dai due Poli?".
"C'erano moltissime ragioni per non farlo", ricorda Fiennes, come se all'esplorazione polare potesse in qualche modo applicarsi la ragione, "e cominciai a elencarle, ma Ginnie è testarda.
E' l'unico viaggio che non è stato ancora tentato ed è assolutamente fattibile".
Quell'estate del 1972, Fiennes, un ex ufficiale dell'Esercito britannico con esperienze sul Nilo e sui ghiacciai norvegesi, a stento riusciva a tirare avanti economicamente, ma l'idea sviluppò una vita propria, innarrestabile come una marea, e il Principe Carlo, che più tardi fu uno dei sostenitori dell'impresa, quando  ne sentì parlare la definì "splendidamente folle".
"Forse è proprio così", pensò Fiennes, "ma allora lo sono stati tutti i grandi pionieri dell'esplorazione polare britannica, splendidamente folli nella loro sfida all'ignoto.
Anche sr Franklin e Scott hanno pagato con la vita, entrambi hanno contribuito enormemente alle conoscenze umane sulle regioni polari.
Un altro inglese, Vivian Fuchs, ha completato la prima traversata dell'Atlantico nel 1957-1958 e l'esploratore Wally Herbert è stato il primo ad attraversare il gelido Mare Artico dieci anni dopo".
Entro il settembre del 1979 Fiennes era pronto, soprattutto grazie al supporto di organizzazioni, imprese e privati. 1800 tra tutti, di ben 19 nazioni.
La spedizione Transglobe, composta da 29 partecipanti tra  i quali Ginnie, salpò dal Tamigi e ben presto si lasciò alle spalle il Canale della Manica.





In Land Rover attraversarono l'Europa e poi l'Africa, nel caldo rovente Sahara, quindi dalla Costa D'Avorio si inbarcarono per Cape Town e proseguirono sino alla banchisa di Fimbul, nell'Antartide.
Il 28 ottobre del 1980 Fiennes partì con due compagni "in motoslitta, per una traversata di 3500 chilometri nel continente antartico, la prima mai effettuata a bordo di veicoli scoperti.
la temperatura si aggirava intorno ai -50°C, dunque era relativamente mite, ma il rischio di congelamento era costante.
L'itinerario scelto non si trovava sulle mappe, così venivano effettuati regolari letture  barometriche per il rilievo topografico.






Raggiunsero il "fondo del globo" il 15 dicembre, e là, lo staff di ricercatori della stazione antartica americana Amundsen-Scott li rincuorò con docce calde e gelato.
Continuando il viaggio, il 10 gennaio 1981 raggiunsero la base neozelandese Scott, situata all'altro capo dell'Antartide, alle pendici del fumante vulcano Erebus.
Sei mesi dopo erano in pieno Nord, alle foci del fiume Yukon.
Equipaggiati con gommoni spinti a motori fuori bordo, ne risalirono il corso per quasi 2000  chilometri fino alla città della corsa dell'oro, Dawson City, nel territorio canadese dello Yukon, quindi via terra raggiunsero il fiume Mackenzie.
Dalla foce di quet'ultimo, "a bordo di una baleniera dotata di due motori da 60 cavalli abbiamo attraversato il Passaggio di Nord-Ovest", riportava Finnies nel numero di National Geographic uscito nell'ottobre del 1983, "percorrendo 6400 chilometri in meno di un mese, l'unico viaggio del genere compiuto in un'unica stagione".
Amudsen aveva impiegato per lo stesso percorso più di due anni.
Dopo oltre 300 chilometri di un'estenuante marcia con le racchette da neve fino ad Alert, sulla costa settentrionale dell'isola di  Ellesmere, Fiennes raccontò di essersi accampato per l'inverno insieme ai compagni, aspettando la primavera per l'assalto finale al Polo Nord.
Al momento giusto, erano di nuovo sulle motoslitte, che però si guastarono a causa del tumulto costante del pack.
"Proseguimmo a piedi, ciascuno di noi trainando una slitta carica di rifornimenti e di cibo disidratato, che pesava una settantina di kg.
Dopo 150 terrificanti chilometri di traino, le condizioni del ghiaccio migliorarono e il nostro fedele Twin Otter ci consegnò altre due motoslitte per i restanti 650 chilometri di percorso a zigzag che ci separavano dal Polo.
Arrivammo alla nostra meta la domenica di pasqua, unici ad avere congiunto i due Poli con un itinerario di superficie".




Forse i chilometri che Fiennes definì "estenuanti" e "memorabili" si rivelarono tali perchè furoni fra i pochi che percorse a piedi o con le racchette da neve e non su un mezzo meccanico o a bordo di una barca a motore.
Mentre si dirigevano verso sud, un banco di ghiaccio galleggiante alla deriva li tenne intrappolati per 99 giorni, finchè non furono in grado di remare fino a una nave di soccorso distante 20 chilometri.
Nell'agosto del 1982, quasi dieci anni dopo il momento in cui l'idea della spedizione era stata concepita, poterono finalmente iniziare il ritorno verso casa.
Al termine del suo viaggio, al pari di molti altri esploratori, Fiennes si trovò a fare queste considerazioni:
"Probabilmente il risultato più importante da noi ottenuto è da valutare in termini umani piuttosto che geografici.
Abbiamo vissuto a strettissimo contatto per tre  anni in condizioni di pressione eccezzionale e di occasionale pericolo. Ne siamo usciti amici, con una comprensione più profonda della tolleranza e delle capacità umane, entrambe in misura molto superiore a quanto ci saremmo aspettati".
Ormai tranquillo a casa sua e insignito del cavalierato per le sue imprese, Fiennes aggiunse:
"Vivo nell'ansia costante per la prossima idea di Ginnie".






Perù: La Fiesta de la Virgen del Carmen.





Ogni anno Paucartambo si prepara per sei mesi alla Fiesta de la Virgen del Carmen, una festa che è essenzialmente una celebrazione femminile.
La leggenda narra che una ricca ragazza, in viaggio per Paucartambo per vendere un vassoio d'argento, trovò una bella testa, priva del corpo, e la depose sul vassoio, scoprendo così che dalla testa emanavano raggi di luce.
Da quel momento la testa fu collocata su un corpo di legno appositamente costruito e onorata con preghiere e incenso.
La fiesta, piena di vitalità e in certi momenti ipnotica, solitamente si protae per tre o quattro giorni ( in genere 16-19 luglio ).
Vi partecipano gruppi locali di danzatori e musicisti in costume tradizionale; vicino alle chiese spuntano barcarelle del mercato.






Le strade risuonano del clamore delle esibizioni dei musicisti e dei ballerini che indossano maschere e vestiti elaborati; la maschera più famosa è quella di  Capaq Negro, dal nome di uno schiavo africano che lavorava nelle vicine miniere d'argento.
Di grande impatto è la parodia dei "poteri" dell'uomo bianco, rappresentata da artisti coperti da grottesche maschere con gli occhi azzurri e costumi stranieri.
La malaria è uno dei temi ricorrenti.
Un vecchio sembra sul punto di morire, quand'ecco un medico occidentale che brandisce l'immancabile siringa.
In realtà, se egli riesce a salvare il paziente è solo per il fortuito scambio delle prescrizioni, operato dai suoi assistenti che danzano: la natura fatalista della cultura andina trionfa sulla scienza.
Il sabato pomeriggio si svolge la processione de la Virgen del Carmen, accompagnata dalle lamentose melodie della banda di ottoni, mentre sull'immagine della Vergine ricadono petali di fiori, grida e preghiere.



 
La sacra immagine è il simbolo della devozione cristiana e anche del culto di Pachamama, la Madre Terra.
La celebrazione culmina la domenica pomeriggio con le danze dei "guerrieros", in cui il bene trionfa sul male, allontanandolo per un anno intero.



Usa: I Motel della Route 66




I luoghi di sosta per i viaggiatori sono uno degli aspetti piu’ interessanti dell’architettura commerciale lungo la Route 66, i Motel e Motor Court che ancora si incontrano rispecchiano l’evoluzione del design e delle tecniche costruttive in funzione delle esigenze economiche e logistiche della clientela dagli anni ’20 al giorno d’ oggi.
Gli Hotel dominarono il campo dell’industria alberghiera nei primi anni del secolo. Si trovavano al centro delle citta’, spesso vicino alle stazioni ferroviarie ma pochi erano adatti ai viaggiatori in automobile. I garage, dove esistevano, erano lontani e personale addetto doveva provvedere al parcheggio delle auto ed al loro recupero, naturalmente a pagamento.






L’organizzazione degli Hotel era impostata sulle aree comuni : larghi ingressi, lunghi corridoi, grandi ristoranti, sale da banchetti, coffe shop, sale da ballo e da congressi. Viceversa gli spazi privati erano ridotti al minimo: un letto, una piccola scrivania ed un bagno. Questo rapporto tra spazio pubblico e privato influiva anche sulla composione delle entrate economiche degli Hotel che derivava solo per il 50% dall’affitto delle stanze.Anche se alcuni Hotel hanno fatto parte della storia della Route 66 essi rimasero indissolubilmente legati piu’ alla ferrovia che al traffico stradale. El Garces a Needles e l’Harvey House a Bastow sono notevoli dal punto di vista architettonico ma difficilmente furono frequentati dai primi viaggiatori in automobile. Altri Hotel come El Rancho a Gallup e quello di Otman divennero famosi come meta di celebrita’ cinematografiche ma difficilmente alloggiarono schiere di automobilisti stanchi e impolverati nei primi anni della Route 66.





La maggior parte degli americani che percorsero la Route 66 nei primi anni non alloggiarono negli Hotel ma in   altre strutture piu’ adatte che si svilupparono in risposta al crescente traffico automobilistico. I Motel, gli alloggi piu’ comuni nell’ultimo periodo, rappresentarono la naturale evoluzione delle altre strutture piu’ semplici che nacquero all’inizio lungo la strada, come gli Auto Camp e i Turist Home che costituirono le prime alternative agli inadatti e costosi ed inadatti Hotel. Quando il traffico stradale comincio’ a diventare significativo le citta’ ed i paesi lungo la strada attrezzarono alla loro periferia aree adatte per i campeggiatori, gli Auto Camp. Questo rispose ad esigenze di sicurezza pubblica, gli estranei erano potenzialmente pericolosi, ed i luoghi di sosta furono dotati gratuitamente di acqua, toilette, docce e spesso anche di vigilanza armata. Non bisogna dimenticare che la Route 66 collego’ per la prima volta comunita’ prima quasi isolate e per le quali gli estranei erano avvertiti come un potenziale pericolo. Le prime aree attrezzate insomma assomigliavano molto agli attuali campi di sosta per nomadi. Il traffico crescente comunque attiro’ sempre piu’ operatori privati nel business dei campeggi che cominciarono ad assumere una conformazione piu’ definita con i servizi raggruppati in un edificio centrale e i luoghi per le tende attrezzati con tavoli ed il necessario per cucinare. Alcuni campeggi di questo tipo sopravvivono ancora come il Camp Joy a Lebanon, Missouri e il Red Arrow Campground a Thoreau, New Mexico. Quasi contemporaneamente nacquero anche le Turist Home che offrivano in pratica gli stessi servizi dei campeggi ma in stagioni od in aree in cui il clima non permetteva di pernottare all’aperto in una tenda. Originariamente si trattava per lo piu’ di abitazioni private lungo le strade di accesso alle citta’ che affittavano una o piu’ stanze da letto per la notte ai viaggiatori. Se ne trova ancora un bel esempio a Flagstaff, Arizona, in South San Francisco Street, ormai in pieno centro urbano.




Alla meta’ degli anni ’20 il numero di viaggiatori in automobile divento’ sempre piu’ importante e cio’ fece sorgere numerose stazioni di servizio alla periferia dei paesi per il rifornimento dei veicoli in transito e contemporaneamente la crescente domanda di alloggi per la notte comincio’ ad essere soddisfatta anche dalle cosiddette Cabin Camp o Cottage Camp. La loro crescita ed il successo furono vertigginosi, ad esempio Amarillo aveva tre strutture in funzione nel 1926 e ben 25 due anni dopo. Il successo della Route 66 richiedeva e otteneva risposte immediate. Sorsero tre tipi distinti di Cabin Camp: i campeggi con aggiunta di Cabins, i Cabin Camps veri e propri ed infine le Turist Home con aggiunta di Cabins. La disposizione degli alloggi fu la piu’ svariata, in file, a elle oppure a gruppi, non esisteva alcuna regola in proposito ed ognuno si regolo’ come permetteva il terreno a disposizione. I Cabin Camps offrivano indubbi vantaggi, erano normalmente nelle aree intorno alle citta’ dove il terreno costava poco e per dimensioni inferiori alla ventina di unita’ potevano essere gestiti da solo due persone, normalmente marito e moglie senza spese aggiuntive per il personale. I costi di questo tipo di alloggio poterono essere contenuti drasticamente e quasi nessun Hotel riusci’ a reggere la concorrenza se non a prezzo di un deterioramento inaccettabile del servizio. I Cabin Camps intercettavano i viaggiatori all’ingresso dei centri urbani, i parcheggi erano comodi e piu’ di tutto erano assolutamente informali dal punto di vista del comportamento e dell’abbigliamento richiesto. Le strutture meglio organizzate vennero presto chiamate Cottages, si trattava di costruzioni piu’ solide ed in grado di svolgere il loro servizio durante tutto l’anno. Per motivi organizzativi assunsero sempre di piu’ disposizioni geometriche, la forma ad U prese il nome di Motor Court, comunque difficilmente superavano le dieci unita’ abitative. Dopo il1930 si comincio’ ad affiancare a ciascuna camera il relativo garage coperto che divenne l’elemento di separazione e di unione con il resto del complesso. La reception trovo’ posto in un edificio separato, normalmente al centro. Dal punto di vista architettonico cercarono sempre piu’ di assomigliare a piccoli quartieri urbani per dare al viaggiatore un senso di familiarita’ e di normalita’.


Lungo la Route 66 sopravvivono molti esempi di di Cabin Camps e Cottage Courts alcuni dei quali con interessanti aspetti architettonici. Certi sono in stile tradizionale, il Rancho Court in Springfield Missouri , il Wagon Wheel Motel a Cuba e lo Shamrock Motel a Sullivan sono costruiti con la tecnica Ozark Giraffe. Altri interessanti Cottage Courts sono i Wigwam Motel di Shamrok Arizona e Rialto California, costruiti in cemento secondo lo stile della tenda indiana e decorati con motivi geometrici tradizionali. Probabilmente quello piu’ caratteristico e’ il Coral Court di St. Louis, uno dei primi esempi di Art Deco’ moderna, che purtroppo verra’ abbattuto nonostante sia registrato come proprieta’ pubblica e protetto dalle leggi federali. I Motor Court derivarono la struttura dai Cottage Court pero’ con tutte le unita’ riunite in un unico edificio e spesso eliminando i garage a fronte di parcheggi all’aperto. Spesso all’interno dell’edificio si ricrearono aree comuni come Coffe Shops o ristoranti, replicando in parte la struttura originale dell’Hotel classico ma fuori dai centri urbani ed in modo molto informale. La varieta’ degli stili fu notevole anche se i temi western risultarono prevalenti, si trovano anche notevoli esempi in stile spagnolo e richiami alle antiche missioni cosi’ come in stile Pueblo revival. Nomi come El Rancho e Casa Grande erano molto diffusi anche ad est del Missouri. Ad Albuquerqe si trova la maggiore concentrazione di Motor Courts in stile Pueblo come El Vado, Zia Motor Lodge, Aztec Motel e innumerevoli altri. Dopo la seconda Guerra Mondiale i nuovi Motor Court furono chiamati Motor Hotel e poi Motel ma purtroppo a fronte di uno sviluppo tumultuoso ben pochi poterono rivaleggiare in stile con i precedenti. La necessita’ di ridurre i costi di costruzione porto’ a standardizzare i progetti a prezzo dell’individualita’ di ciascun Motel. Ormai si cominciava ad intuire che la Route 66 sarebbe stata superata da nuove strade, i costi erano lievitati e l’offerta sempre crescente di opportunita’ in franchising scoraggiarono quasi tutti gli investitori ad aprire nuovi motel.


Comunque la costruzione dei Motel raggiunse l’apice nel decennio tra il 1950 ed 1960 anche se molti proprietari furono spesso rovinati da una concorrenza sempre piu’ agguerrita e feroce. In molti casi i servizi forniti diventarono scarsi e la manutenzione delle unita’ risulto’ molto scadente. I nuovi proprietari intrapresero opere di ristrutturazione che quasi sempre cancellarono lo stile originale delle costruzioni al fine di ridurre i costi e la manutenzione e per adeguare il confort ai nuovi standard delle catene nazionali. I Motel cambiarono spesso proprieta’ e molti chiusero definitivamente, nel 1960 la vita media di un Motel era diventata inferiore a nove anni. I Motor Inn delle catene in franchising divennero piu’ grandi e lussuosi dei convenzionali Motel, tutti erano dotati di piscina e di ampi servizi comuni. Anche se il denaro era comunque costoso essi vollero comunque darsi un’aria di lusso e di ricchezza e incrementarono anche la sicurezza per i clienti con chiavi sempre piu’ raffinate, un problema particolarmente sentito dai viaggiatori. In breve la standardizzazione mise fuori mercato i piccoli Motel a conduzione familiare che furono costretti a ridurre i prezzi sino a non poter piu’ assicurare un livello accettabile di qualita’. Tranne rare eccezioni tutti furono costretti a chiudere. La varieta’ architettonica che aveva caratterizzato i gli alloggi per i viaggiatori sino agli anni ’60 fu sostituita dalla monotonia dei Motel in franchising, veramente indistinguibili da un luogo ad un altro, dall’Illinois alla California. Delle migliaia di Motel in servizio nei primi anni ’60 rimangono ancora agibili oltre quelli citati anche il Munger Moss Motel a Lebanon, il Gardenway Motel a Gray Summit entrambi in Missouri e pochi altri lungo tutta la Route 66.